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in rocce sottoposte a sollecitazione meccanica. Un possibile precursore sismico? Premesse e motivazioni di questa ricerca: lo spunto iniziale Lo studio presentato in questa tesi, l'apparecchiatura usata e l'idea stessa di associare il terremoto a segnali elettromagnetici derivano quasi casualmente da un proposito iniziale completamente estraneo: quello di costruire un radiotelescopio amatoriale. Ai tempi del liceo pensai infatti di fondere le mie due grandi passioni (l'astronomia e la radio) nel tentativo di costruire un radiotelescopio che fosse tecnicamente alla portata di un radioamatore e soddisfacente almeno per un astrofilo. Il primo problema che mi posi fu quello della frequenza. Conoscendo bene la ripartizione dei servizi radio su tutto lo spettro, appariva evidente che tutte le bande facilmente accessibili (LF, MF, HF, VHF) erano sature di stazioni operanti con regolarità mentre al contrario le bande ancora abbastanza "pulite" come la UHF (erano gli anni '80) le EHF e SHF richiedevano una tecnologia al di fuori della mia portata. Non ero in grado infatti di realizzare un circuito sufficientemente stabile su frequenze superiori alla banda VHF. Iniziai così a studiare la possibilità di utilizzare l'estremo inferiore dello spettro, partendo dalle LF in giù (<300 kHz ). La cosa divenne particolarmente attraente quando pensai di utilizzare frequenze talmente basse da corrispondere, come ordine di grandezza, allo spettro acustico. In questo range ( 20 Hz - 20 kHz ) si presentava infatti la possibilità di udire direttamente l'onda elettromagnetica senza la necessità di un rivelatore! Ascoltare l'onda pura, quella cioè che solitamente era l'onda "portante", mi appariva come l'estrema realizzazione dello spirito radiantistico. Al contrario l'idea in sé fu criticata da tutti i radioamatori con cui ebbi modo di consultarmi, come se fosse assurda o addirittura ridicola. In realtà funzionò fin dal primo tentativo, anche se non me ne accorsi subito1. Intanto però studiavo le basse frequenze impiegando anche un ricevitore multibanda. In particolare mi appassionai ai fulmini e fu proprio in questo contesto che casualmente intercettai un radiodisturbo generato, in cucina, dall'accendino dei fornelli a gas. Con il meccanismo di quell'accendino, usato nei modi più bizzarri e impropri, riuscii a simulare ogni tipo di scarica che avevo potuto classificare nello studio dei fulmini. Non conoscevo ancora il fenomeno piezoelettrico ma naturalmente non ci volle molto a capire che quell'oggetto non funzionava a batteria. Così mi posi subito quella domanda alla quale solo ora tento di rispondere: se schiacciare una "pietruzza" poteva generare una scintilla e un segnale elettromagnetico, perché un terremoto non avrebbe potuto fare altrettanto? Qui iniziò il sospetto che un terremoto si potesse ascoltare in radio e soprattutto in quello strano ricevitore. Più tardi, nel corso degli studi universitari, rivalutai l'ipotesi constatando che ogni disciplina (mineralogia, petrografia, geofisica) sembrava fornire qualche spunto e qualche indizio favorevole. Iniziò allora a comporsi l'ipotesi "radiosismica" (cfr. par.1.3) secondo la quale le vibrazioni meccaniche che precedono la rottura ("pianto della roccia") potevano produrre radiazione EM di frequenza pressoché acustica. Fu allora che il radiotelescopio "Prometeo" si tramutò in "Gaia", un apparecchio che ho definito radiogeofono. Ancora più tardi, nel corso della mia ricerca personale, trovai in Internet alcuni studi del prof. Michele Caputo ed altri (cfr. par.1.5, "Geofisica della terra solida") e andai a visitare il professore nel suo ufficio del D.F. (La Sapienza, Roma) per avere informazioni più dettagliate sull'argomento. Pensavo infatti che i tre effetti evidenziati in quelle ricerche (variazioni del campo elettrico e magnetico, segnali sismoacustici) potessero essere tre aspetti di un unico fenomeno, quello radiosismico. Il professore si mostrò subito molto disponibile, curioso e soprattutto paziente (non è facile per chi studia Geologia esprimersi in modo adeguato su questi argomenti) tanto che l'idea non fu presa con scetticismo. Al contrario, constatato che disponevo già di un'apparecchiatura idonea, mi fu proposto di collaborare in una tesi di laurea. Successivamente, proprio su indicazione del prof. Caputo, contattai il prof. Vittorio Sgrigna (D.F. Roma 3) che, occupandosi della radiazione di Cerenkov come precursore sismico, mi illustrò la sua ipotesi sull'emissione EM per cause sismiche, sostanzialmente conforme a quella del prof. Mognaschi (cfr. par.1.3.2). Sgrigna però si rivelò piuttosto scettico sul mio progetto, prevalentemente per due ragioni:
Inoltre avevo dalla mia l'esperienza di un amico radioamatore che mi contattò dopo aver letto in Internet delle mie ricerche. Questi era il prof. Mognaschi, (D.F. Univ. di Pavia) che, indipendentemente, aveva già condotto con successo esperimenti in banda OM. Questo mi diede la convinzione che a maggior ragione si potevano ottenere i risultati sperati sulle frequenze "radioacustiche". La prospettiva di una tesi di argomento geofisico con un fisico come relatore appariva folle da un lato, ma anche l'opportunità unica e inattesa di poter sviluppare la mia ricerca nel modo più appropriato. L'obiettivo di registrare in condizioni strettamente controllate segnali ufficialmente inesistenti appariva una scommessa sulla quale non era il caso di giocarsi la tesi di laurea, ma allo stesso tempo l'esperienza del prof. Mognaschi sulle Onde Medie dava valido supporto alle aspettative. Fu così che da un radiotelescopio amatoriale e un'idea strampalata (derivante dall'associazione di nozioni acquisite dalle fonti più disparate e spesso estranee al corso di laurea) nacque questa tesi di geologia, nella quale io stesso non saprei riconoscere il confine tra geologia, fisica e radiantismo. 1) Ricevevo soltanto un forte ronzio di "alternata". Non immaginavo che la corrente di rete potesse emettere un segnale fortissimo e in un primo tempo fui convinto che il disturbo provenisse dall'alimentatore, per quanto l'avessi stabilizzato e filtrato in modo esagerato. |
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