"FantaGeologia" da Geologia 2000 - [http://www.anisn.it/geologia2000] Dall'esobiologia all'esopaleontologia ovvero dall'evoluzione alla rivoluzione di Adriano Nardi C'è vita su Marte? Nel 1976 due sonde automatiche atterrarono sul pianeta rosso con il preciso compito di verificare l'esistenza di forme di vita elementare. Erano i moduli Lander delle missioni statunitensi Viking 1 e 2. Atterrati in luoghi diversi (le pianure di Chryse e Utopia) raccolsero campioni di suolo marziano con un apposito braccio meccanico che li introdusse poi negli imbuti che conducevano ai vari apparecchi di analisi. Tre test avevano lo scopo di rivelare un'eventuale attività biologica e in entrambi i casi la reazione del suolo fu la stessa: i primi due esperimenti diedero esito negativo mentre il terzo fu decisamente positivo... talmente positivo da lasciar sorgere qualche dubbio. Si trattava di irrorare il campione con un brodo di coltura marcato con carbonio radioattivo. Se qualche forma di vita si fosse nutrita di queste sostanze le avrebbe metabolizzate e se ne sarebbe trovata traccia nell'atmosfera del microambiente. L'effetto fu talmente evidente che si pensò piuttosto alla violenta reazione inorganica di un suolo anidro a contatto con l'acqua della soluzione nutriente. In ogni caso ci furono polemiche anche sulle stesse procedure sperimentali. I campioni da analizzare infatti venivano introdotti nel "corpo" stesso della sonda dove, a causa della struttura metallica e della strumentazione di bordo, la temperatura avrebbe potuto raggiungere i 30-35°C. Dato che la temperatura su Marte a medie latitudini oscilla tra i -100°C e i -30°C, mentre la massima assoluta, all'equatore, d'estate, toccava i 28°C (dati di allora) l'interno della sonda avrebbe potuto essere un ambiente letale per eventuali organismi marziani. (Sarebbe come se degli alieni sulla Terra provassero a studiare il metabolismo di un pollo dopo averlo arrostito in un forno. Naturalmente non rileverebbero nulla di "vivo"). Così il verdetto finale sugli esperimenti biologici dei Viking ebbe due diverse interpretazioni: o non era stato osservato nulla oppure le prove non avevano validità. Ma fin qui è storia vecchia. Oggi finalmente, dopo 25 anni, qualcuno si è accorto che, tutto sommato, in quegli esperimenti si vedeva davvero qualcosa! Il neurobiologo Joseph Miller1 (Southern California University) stava progettando nuovi esperimenti per conto della NASA quando decise di riesaminare i risultati dei Viking. Per la verità la cosa si presentava piuttosto problematica perché erano ormai morti tutti i programmatori che codificarono i dati sui nastri magnetici. Per fortuna poi da un vecchio armadio furono rispolverate delle trascrizioni rendendo possibile la decifrazione. Miller si accorge così che i gas radioattivi rivelati nell'atmosfera di quell'ambiente controllato non erano stati emessi con costanza ma ciclicamente e che il periodo di questo ciclo costante coincide con il ciclo diurno marziano: 24,66 ore! Questo fatto curioso non soltanto non è coerente con una reazione organica ma è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da forme di vita che devono sopportare un'escursione termica di 50°C. Per quanto elementari siano non possono che ibernarsi di notte per rivitalizzarsi all'alba. Nell'ambiente di coltura la temperatura non variava che di un paio di gradi che in una reazione inorganica sarebbero stati del tutto ininfluenti. Quella reazione quindi doveva essere regolata da un "programma" stabilito da una precisa funzione biologica. Ma perché nessuno se ne era accorto prima? Sembra che negli anni '70, all'epoca dei Viking, i ritmi fisiologici circadiani (ossia giornalieri) fossero ancora poco noti e non facevano parte del bagaglio culturale dei ricercatori. Si tratta di quei ritmi, per lo più regolati dalla luce, che facilmente possiamo osservare nelle piante con lenti movimenti percettibili (es. apertura e chiusira della corolla) o impercettibili (apertura e chiusura degli stomi). Questa importante osservazione e la scoperta di acqua liquida relativamente recente lasciano ben sperare circa la possibilità di scoprire un giorno qualche forma di vita sul pianeta rosso. Ma la scoperta di una vita non terrestre (anche solo di un microbo, purché extraterrestre) rappresenterebbe una vera rivoluzione. A parte il fatto che cambierebbe radicalmente la nostra cultura3 e il pensiero religioso e filosofico, rappresenterebbe anche una vera rivoluzione per alcune materie dell'area geologica. Ammesso che un giorno possa accadere (e questo giorno sembra sempre più vicino) per i paleontologi si tratterà di rimboccarsi le maniche e ricominciare daccapo quasi come se nulla avessero studiato fino ad oggi. La biostratigrafia del nuovo mondo infatti sarà tutta da rifare ma non si potrà fare senza una classificazione sistematica che sarà ancora tutta da rifare in base a studi fisiologici, etologici e paleoambientali di nuovo tutti da rifare! Il motivo di questa introduzione all'esobiologia vuol essere appunto quello di iniziare a vedere la biologia, al pari della fisica, come un fenomeno "universale" ed estendibile ad ambienti non terrestri. Iniziare quindi a concepire la classificazione sistematica non più come un dettame ma come modello. Un esempio su cui si dovrà lavorare per individuare nuovi phylum che vedranno lo sviluppo di creature diverse in ambienti diversi secondo quegli stessi principi evolutivi di selezione e adattamento che, nell'ipotesi dell'esistenza di vita extraterrestre, non potranno che rivelarsi universali. Un domani potrebbe non esistere più "la" sistematica ma delle classificazioni locali, analogamente alle successioni stratigrafiche regionali che senza alcuna riserva siamo soliti considerare diverse inquanto condizionate dall'ambiente paleogeografico e dalla sua evoluzione. Se non accadrà su Marte domani sarà altrove dopodomani, magari anche su un pianeta extrasolare. Non si tratta di dimostrare l'esistenza degli UFO o di contattare intelligenze extraterrestri. Stiamo parlando del puro e semplice concetto di "non unicità" del fenomeno biologico. Qualcosa di elementare come il concetto galileiano di "pluralità dei mondi" o il principio geologico dell'attualismo. Perché diventi banale e scontato sarà soltanto questione di tempo. NOTE:
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